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        Ho rivisto sul tardi il signor Lavaccara, sudato e stravolto, senza giacca, recando tra le mani un gran piatto bislungo, avviarsi, seguito dai due piccini, al banco del macellajo al quale aveva venduta quella sua bestia intelligente. Andava a riceverne – patto della vendita – la testa e tutto il fegato.
        Anche questa volta, ma con piú ragione, il signor Lavaccara ha finto di non vedermi. Uno dei due piccini piangeva; ma voglio credere che non piangesse per la prossima vista della pallida testa insanguinata della cara grossa bestia carezzata per circa due anni nel cortile della casa. La contemplerà il padre quella testa dalle larghe orecchie abbattute, dagli occhi gravemente socchiusi tra i peli, per lodarne forse, con rimpianto ancora una volta, l’intelligenza, e per questa maledetta ostinazione si guasterà il piacere di mangiarsela.
        Ah mi avesse invitato a tavola con lui! Mi sarei risparmiato certamente il grande affanno di vedere, io solo a digiuno, io solo con gli occhi non offuscati dai vapori del vino, tutta quella umanità, degna di tanta considerazione e di tanto rispetto, ridursi a poco a poco in uno stato miserando, senza piú neppure un’ombra di coscienza, senza la piú lontana memoria delle innumerevoli benemerenze che in tanti secoli ha saputo acquistarsi sopra le altre bestie della terra con le sue fatiche e con le sue virtù.
        Scamiciati gli uomini, discinte le donne; teste ciondolanti, facce paonazze, occhi imbambolati, danze folli tra tavole capovolte, panche rovesciate, canti sguajati, falò, spari di mortaretti, urli di bimbi, risa sgangherate. Un pandemonio sotto le rosse nubi dense e gravi del tramonto, sopravvenute quasi con spavento.
        Sotto queste nubi divenute a mano a mano piú cupe e fumolente, ho veduto poco dopo, al richiamo delle campane sante, raccogliersi alla meglio tra spinte e urtoni tutta quella folla ubriaca, e imbrancarsi in processione dietro a quel terribile Cristo flagellato su la croce nera, tratto fuori dalla chiesa, sorretto da un chierico pallido e seguito da alcuni preti digiuni, col camice e la stola.
        Due porcelloni. per loro somma ventura scampati al macello, sdrajati a piè d’un fico, vedendo passare quella processione, m’è parso si guardassero tra loro come per dirsi:

        – Ecco, fratello, vedi? e poi dicono che i porci siamo noi.

        Mi sentii fino all’anima ferire da quello sguardo, e fissai anch’io la folla ubriaca che mi passava davanti. Ma no, no, ecco – oh consolazione! – vidi che piangeva, piangeva tutta quella folla ubriaca, singhiozzava, si dava pugni sul petto, si strappava i capelli scarmigliati, cempennando, barellando dietro a quel Cristo flagellato S’era mangiato il porco, sì, s’era ubriacata, è vero, ma ora piangeva disperatamente dietro a quel suo Cristo, l’umanità.

        – Morire scannate è niente, o stupidissimo bestie! – io allora esclamai, trionfante. – Voi, o porci, la passate grassa e in pace la vostra vita, finché vi dura. Guardate questa degli uomini adesso! Si sono imbestiati, si son ubriacati, ed eccoli qua che piangono ora inconsolabilmente, dietro a questo loro Cristo sanguinante su la Croce nera! eccoli qua che piangono il porco che si son mangiato! E volete una tragedia piú tragedia di questa?
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6 FMMortaroli picture FMMortaroli Sat 20 Apr, 2013 15:30:47 +0000