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          E passiamo agli uomini, signori miei! Ho voluto osservarli apposta anch’essi a uno a uno, mentre s’avviavano al luogo della festa.

          Che altro aspetto, signori miei!

          Il dono divino dell’intelligenza traspariva anche dai minimi atti: dal fastidio con cui voltavano la faccia per non prendersi il polverone sollevato dai branchi di quelle bestie, e dal rispetto con cui poi si salutavano l’un l’altro.
          Ma l’aver pensato di coprir di panni l’oscena nudità del corpo, già questo solo, considerate a quale altezza colloca l’uomo sopra uno schifosissimo porco. Potrà mangiare fino a schiattarne e anche imbrodolarsi tutto, un uomo; ma poi ha questo, che si lava e si veste. E quand’anche li immaginassimo nudi per lo stradone, uomini e donne; cosa impossibile, ma ammettiamola pure, non dico che sarebbe un bel vedere, le vecchie, i panciuti, i non puliti; tuttavia, che differenza, pensate, anche a guardar soltanto alla luce dell’occhio umano, specchio dell’anima, e al dono del sorriso e della parola.
          E i pensieri che ciascuno, pur andando alla festa, aveva in mente; forse non del padre o della madre, ma di qualche amico o della nipote o dello zio, che lo scorso anno partecipavano anche loro allegri alla festa campestre. bevevano anche loro quella bell’aria aperta, e adesso, rinserrati nel bujo sottoterra, poverini... Sospiri, rimpianti e anche qualche rimorso. Ma sì! Non erano tutti lieti quei visi; la promessa del godimento di una giornata grassa non spianava su la fronte di tanti magri le rughe delle cure opprimenti e i segni delle fatiche e delle sofferenze. E parecchi compassionevolmente portavano a quella festa d’un giorno la loro miseria di tutto l’anno, per provare se trovasse piú il verso, là tra tanti sanguigni ben pasciuti, d’aprire i denti gialli a uno squallido sorriso.

          E poi pensavo a tutte le arti, a tutti i mestieri a cui quegli uomini attendevano con tanto studio, con tanti travagli e tanti rischi, che i porci certamente non conoscono. Perché un porco è porco e basta; ma un uomo, no, signori, potrà anche esser porco, non dico, ma porco e medico, per esempio, porco e avvocato, porco e professore di belle lettere e filosofia, e notajo e cancelliere e orologiajo e fabbro... Tutti i lavori, le afflizioni, le cure dell’umanità vedevo con soddisfazione rappresentati in quella folla che procedeva per lo stradone.
          A un certo punto, il signor Lavaccara, reggendo per mano, uno di qua, uno di là, i due figliuoli piú piccoli, m’è passato davanti, con la moglie dietro, rosea e prosperosa come lui, tra le due figliuole maggiori. Tutti e sei han fatto finta di non vedermi; ma le due figliuole, tirando via di lungo, si sono tutte invermigliate e uno dei piccini, dopo pochi passi, s’è voltato tre volte a sbirciarmi. La terza volta, così per ridere, io ho cacciato fuori la lingua e l’ho salutato di nascosto con la mano; s’è fatto serio serio, con un viso lungo lungo distratto e s’è subito messo a guardare altrove.
          Mangerà il porco anche lui, povero piccino; forse ne mangerà troppo; ma speriamo che non gli faccia male. Quand’anche però gli dovesse far male, la previdenza umana c’è pure per qualche cosa. Andate a cercarla nei porci, la previdenza; trovatemi un porco farmacista che prepari con l’alchermes l’olio di ricino per i porcellini che si siano guastati lo stomaco per intemperanza!
          Ho seguito da lontano, per un buon tratto, la cara famigliuola del signor Lavaccara che si avviava sicuramente incontro a un solennissimo guasto di stomaco; ma ecco che mi son potuto consolare pensando che domani troverà da un farmacista la purghetta che li guarirà.
          Quante baracche improvvisate con grandi lenzuola palpitanti, nello spiazzo davanti la chiesa di San Nicola, attraversato dallo stradone!

          Taverne all’aperto; tavole, tavole e panche; caratelli e barili di vino; fornelli portatili; banchi e ceppi di macellai.
          Un velo di fumo grasso misto alla polvere annebbiava lo spettacolo tumultuoso della festa; ma pareva che non tanto quella grassa fumicaja, quanto lo stordimento cagionato dalla confusione e dal baccano impedisse di vedere chiaramente.
          Non erano però grida giulive, di festa, ma grida strappate dalla violenza d’un ferocissimo dolore. Oh sensibilità umana! I venditori ambulanti, gridando la loro merce; i tavernai, invitando alle loro mense apparecchiate; i macellai, ai loro banchi di vendita, intonavano il bando, senza forse saperlo, su le strida terribili dei porci che là stesso, in mezzo alla folla, erano macellati, sparati, scorticati, squartati. E le campane della gentile chiesina ajutavano le voci umane, rintronando all’impazzata, senza posa, a coprire pietosamente quelle strida.
          Voi dite: ma perché almeno non si macellavano lontano dalla folla tutti quei porci? E io vi rispondo: ma perché la festa allora avrebbe perduto uno dei suoi caratteri tradizionali, forse il suo primitivo carattere sacro, d’immolazione.

          Voi non pensate al sentimento religioso, signori.

          Ho visto tanti impallidire, turarsi con le mani gli orecchi, torcere il viso per non vedere l’accoratojo brandito cacciarsi nella gola del porco convulso tenuto violentemente da otto braccia sanguinose smanicate, e per dir la verità, ho torto il viso anch’io, ma lamentando dentro di me amaramente che l uomo a mano a mano, col progredire della civiltà, si fa sempre piú debole, perde sempre più, pur cercando di acquistarlo meglio, il sentimento religioso. Seguita, sì, a mangiarsi il porco; volentieri assiste alla manifattura delle salsicce, alla lavatura della corata al taglio netto del fegato lucido compatto tremolante; ma torce poi il viso all’atto dell’immolazione. E certo è ormai cancellato il ricordo dell’antica Maja, madre del dio Mercurio, da cui il porco ripete il suo secondo nome.
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6 FMMortaroli picture FMMortaroli Sat 20 Apr, 2013 15:30:47 +0000